sabato 27 dicembre 2008

Fedra di A.Cabanel

Alexandre Cabanel


Questa tragica scena si inspira ad un fatto di cronaca avvenuto a Rimini alla metà del XIII secolo e messo in versi da Dante nella quinta cantica dell'Inferno. Francesca da Rimini costretta dal padre a sposare Lanciotto Malatesta, si innamora del cognato, il bel Paolo. Mentre i due giovani si stanno scambiando il loro primo bacio, vengono sorpresi dal marito di Francesca che, con un solo colpo di spada, li uccide.
In questo quadro ritroviamo gli elementi caratteristici della tradizione classica alla quale Alexandre Cabanel fu sempre fedele. La composizione è sapiente, la fattura liscia e i tratti precisi, i dettagli iconografici sono curati. Il libro caduto dalle mani di Francesca ricorda che i due amanti, nel momento in cui furono uccisi, leggevano Lancillotto, un romanzo d'amore cortese mentre l'assassino, nascosto dietro una tenda spessa, tiene ancora in mano la spada insanguinata.

Cabanel è uno dei principali rappresentanti di un accademismo molto in voga durante il Secondo impero. La sua brillante carriera ufficiale ne è una chiara testimonianza. Studente a Villa Medici, sede romana dell'Accademia di Francia, successivamente l'artista partecipa a varie edizioni dei Salon ottenendo diverse medaglie. In seguito diventa professore alla Scuola di Belle-Arti e infine membro dell'Istituto. Il quadro, tuttavia, quando viene presentato al Salon del 1870, non ottiene il consenso generale. Oggetto di commenti e di caricature, l'opera viene criticata soprattutto per il suo carattere teatrale e per l'atteggiamento "disdicevole" di Paolo.

mercoledì 23 aprile 2008

J.W. Waterhouse


Vita e opere
J.W. Waterhouse nacque a Roma da William e Isabela Waterhouse, entrambi pittori, e si trasferì con la famiglia a South Kensington all'età di cinque anni. Cresciuto così accanto al nuovissimo Victoria and Albert Museum, studiò pittura con suo padre e si iscrisse alla Royal Academy nel 1870. Le sue opere giovanili, profondamente influenzate da Lawrence Alma-Tadema e Frederic Leighton, mutuano prevalentemente i loro soggetti dalla mitologia classica e furono esposti sia alla Royal Academy che alla Dudley Gallery.

Nel 1874, all'età di venticinque anni, Waterhouse presentò alla Royal Academy il primo dei suoi lavori maturi, l'allegoria Il Sonno e la sua sorellastra la Morte che lo rese celebre e rimase per decenni una delle opere più amate dal pubblico. Dopo aver sposato Esther Kenworthy nel 1883, Waterhouse intensificò la sua attività di pittore all'interno della Royal Academy, ottenendo la cattedra nel 1895; insegnò anche alla St. John's Wood Art School del cui club fu membro fino alla morte.

Si ammalò di cancro nel 1915 e morì due anni dopo, lasciando a metà uno dei suoi numerosi quadri raffiguranti la morte di Ofelia.

La produzione di Waterhouse può essere raggruppata per temi entro due filoni principali: le opere di ispirazione classica e le opere di ispirazione medievale, tra cui spiccano i numerosi Ofelia e La signora di Shalott, oltre ad altri dipinti a tema shakespeariano.

La signora di Shalott è uno dei personaggi che maggiormente ispirarono Waterhouse, portandolo a realizzare almeno tre differenti dipinti nel 1888, nel 1896 e nel 1916. Il tema della donna che si strugge per amore, in questo caso Elaine of Astolat, ricorre nei dipinti di Waterhouse: non a caso un altro dei suoi soggetti ricorrenti è Ofelia nell'atto di raccogliere fiori, poco prima della morte. Il dipinto unisce il tema femminile a quello dell'acqua, un'associazione che - insieme a quella con il fiore - è tipica della pittura simbolista in generale e dei preraffaelliti in particolare.

Frequenti sono anche le Scene di vita nell'antica Roma, permeate da una delicata e decadente indolenza, cui sono assimilabili anche le numerose scene di vita ambientate in Italia.

mercoledì 19 marzo 2008

Visioni Preraffaellite


Dopo circa cinquecento anni di oblio, nella seconda metà del 1800, in un clima sociale costrittivo e bigotto, si manifestò un profondo interesse da parte di alcuni settori della cultura e della società occidentale per il Medioevo. In Inghilterra Augustus Welby Pugin, padre dell'architettura neogotica, il poeta John Ruskin e William Morris, poeta, artista e agitatore sociale, ispirarono e alimentarono la corrente artistica dei Preraffaelliti. Sostenendo che il "progresso" altro non era che una folle corsa verso il nulla e rinnegando la scissione uomo-natura operata in epoca rinascimentale, questi revivalisti neo-medievali e neo-gotici rifiutando il presente e agognando un'organizzazione sociale idealmente modellata su di un'epoca di molto precedente la nascita del capitalismo, gettarono un ponte tra il passato e il futuro. Un ponte mai crollato che in questo inizio di nuovo millennio è oggetto di nuovo interesse.

sabato 15 marzo 2008

Belle Epoque. Arte in Italia 1880 - 1915


"Allora regnava sul mondo una pace profonda e insolente" scrisse Joseph Roth ripensando alla vita frivola e fragile che scorreva veloce in Europa tra gli anni Ottanta del Diciannovesimo secolo e l'esplosione della Grande Guerra. Gli stessi anni che, tempo dopo, furono definiti Belle Epoque.
Fu un'età dell'oro - almeno per l'Europa borghese di Roth -, un momento magico di sviluppo e benessere, di invenzioni e fiducia nel progresso tecnologico, di euforia economica e culturale. Le grandi capitali europee - Parigi, Londra, Vienna, e in Italia Milano e Torino - divennero lo scenario di nuovi fenomeni di costume, dalle esposizioni universali ai caffè concerto, ai grandi magazzini, ai bagni di mare, alle gare sportive, alle corse automobilistiche, ai voli in aeroplano.
Cronisti di quest'Europa moderna e mondana furono gli artisti che registrarono i trionfi ed esaltarono gli eccessi di quegli anni effervescenti, votati a un destino di dissoluzione. L'alta borghesia industriale e finanziaria di fine '800 assoldò stuoli di pittori per celebrare i suoi riti e la sua smagliante modernità attraverso i ritratti delle sue donne, mogli e amanti, cocottes e chanteuses.
Così in Francia, ma anche in Italia. I "Bei Tempi" italiani furono forse meno splendenti e intensi di quelli parigini, ma sempre seducenti e irripetibili. Artisti come Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, Corcos, Gioli, Banti e Panerai, facendo la spola tra l'una e l'altra capitale, coniugarono l'"allure" francese con i fermenti italiani, l'impressionismo e la pittura di macchia. Ed anche altri, come Casorati, Boccioni, Bonzagni, Nomellini, Bocchi e Cavaglieri, prima di intraprendere traiettorie diverse, furono testimoni di quel mondo dorato.
Protagonista assoluta è la donna, morigerata ma più spesso femme fatale. Una femminilità eccentrica e inquieta, in bilico tra vanità e lusso, alcool e morfina, diventa icona di un tempo in cui la felicità è un obbligo imprescindibile.
Alle donne fascinose e impeccabili della grande triade degli italiens de Paris, De Nittis, Boldini e Zandomeneghi, celebri e celebrati interpreti dell'atmosfera cosmopolita e illusoria della Belle Epoque, si affiancano anche artisti italiani meno noti al grande pubblico come Giacomo Grosso, Camillo Innocenti e Serafino Macchiati. Furono artisti che dai tanti pellegrinaggi nella Ville Lumiére derivarono l'intuizione di una femminilità più torbida e contraddittoria e per questo più moderna. Sono narratori visivi come Giuseppe Cominetti, le cui farandoles mettono in scena l'ebbrezza del can can e del tango, o Pompeo Mariani, autore di Chanteuse sensuali e impudiche quanto le prostitute ritratte nelle sue Perdute. O Vittorio Corcos, audace e spavaldo quando sceglie di celebrare eroine ambigue e voluttuose, sull'orlo della perdizione come "La Maddalena" o la sua magnifica "Morfinomane" e Aroldo Bonzagni che in "Mondanità" illustra, con accenti espressionisti e disincantata ironia, una folla di uomini e donne in abiti eleganti all'uscita da un veglione.

Federico Zandomeneghi


Quando il vento dell'impressionismo, dalla seducente Parigi, spirò sull'Europa, furono in molti ad esserne travolti: e fu, sempre più, ripudio dell'accademismo, bramosia di libertà, esaltazione della luce, trionfo del colore.
Una triade di pittori italiani, reduci dall'esperienza macchiaiola, abbandonò la propria terra d'origine e si recò nella capitale francese per immergersi nel cosmo impressionista. Così, Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis e Federico Zandomeneghi diventarono gli "italiens de Paris", i "cantori" dell'eleganza mondana ed internazionale della "città dei boulevards", come del carattere popolare e periferico d'alcuni suoi quartieri. La loro peculiare esperienza artistica ed il ruolo rivestito nell'ambito della cultura impressionista sono stati al centro di diverse rassegne italiane di recente apertura, che ne hanno rivalutato il significativo contributo all'affermazione dell'arte francese tardo-ottocentesca.
Il veneziano Federico Zandomeneghi, l'unico fra i tre "italiani di Parigi" a non fare più ritorno in patria,un artista che mantenne un profondo e duraturo legame con l'ambiente impressionista e post-impressionista, pur aderendovi in modo assai personale, e predilesse temi tratti dalla realtà urbana e domestica contemporanea, dando vita ad una sorta di moderno "umanesimo".

giovedì 6 marzo 2008

De Nittis


Giuseppe De Nittis nasce a Barletta nel 1846, dove trascorre l’infanzia segnata dalla perdita prematura dei genitori. A quattordici anni si trasferisce a Napoli con i fratelli, frequenta l’Istituto di Belle Arti dal quale, dopo due anni, viene espulso a causa dell’insofferenza verso metodi di insegnamento e stilemi artistici che gli appaiono anacronistici. La libertà conquistata lo porta a vivere un rapporto diretto con la campagna e il mare, i soggetti pittorici più amati nel corso degli anni Sessanta. Dall’amicizia con Adriano Cecioni e Domenico Morelli, nasce, assieme ad altri artisti napoletani, la “Scuola di Resina”. Il suo primo quadro datato con sicurezza è Appuntamento nel bosco di Portici.
Dal 1866 sperimenta nuovi mezzi espressivi. Dopo una parentesi fiorentina, caratterizzata dagli incontri con i Macchiaioli, arriva a Parigi nel 1867 e si stabilisce dall’anno successivo, lavorando in esclusiva con Goupil fino al 1874. A ventitre anni sposa Léontine Gruvelle. È del 1869 la prima esposizione al Salon parigino, cui ne seguono altre fino al 1879. Nel 1874 partecipa, unico italiano, alla prima mostra degli Impressionisti, mentre continua ad esporre al Salon riportando un enorme successo con il dipinto Che freddo! Ma già con Al Bois de Boulogne ha inaugurato quella pittura che lo identifica come sensibilissimo cronista della vita moderna della capitale francese.
Le sue donne, sempre à la page, si muovono nei grandi parchi, lungo le passeggiate, alle corse, nei salotti, nelle stanze delle ricche dimore borghesi. Anche la cura dedicata ai particolari dell’abbigliamento rivela i segni di una femminilità percepita e rappresentata attraverso una raffinata indagine psicologica.
La modella principale è Leontine, colta negli ambienti domestici, nei ritratti, nelle scene en plain air, nei luoghi della mondanità e del divertimento. Le corse ippiche, le passeggiate in carrozza, il pattinaggio durante l'inverno fanno parte delle sue tematiche preferite ispirate dai luoghi della metropoli trasformata nei boulevards di Haussmann e nei ritmi frenetici della vita delle piazze, dei teatri, dei caffè.
Nel 1876 riceve la medaglia d’onore d’oro assieme al titolo di Cavaliere della Legion d’Onore. La sua casa diventa luogo d’incontro dell’élite culturale franco-britannica, frequentata, tra gli altri, da Manet, Edgar Degas, Tissot, Zola, Maupassant. Pur continuando a frequentare Napoli e Barletta con ricorrenti soggiorni, è la capitale francese la città d’elezione. Intorno alla metà degli anni Settanta, anticipando Degas e Manet, sperimenta la tecnica del pastello in grandi composizioni. Fra il 1883 e il 1884 realizza alcune delle opere più famose, Il salotto della principessa Mathilde e Colazione in giardino. Muore a 38 anni, nel 1884.

giovedì 21 febbraio 2008

La Pittura si fonde con la Fotografia...


Il fotografo Moises González e l’artista digitale Kattaca hanno deciso di riscrivere su pellicola alcune delle opere più famose del pittore austriaco Gustav Klimt, uno dei massimi esponenti dell’ Art Nouveau.

Nei suoi dipinti gli ori avvolgono volti e corpi di donne mitologiche, dee, eroine, conferendo alle immagini un senso di ricchezza che ricorda lo sfarzo dei mosaici bizantini (cui Klimt si ispirava).

Nella resa dei due artisti contemporanei questo aspetto non si perde così come non si perde neanche il tipico languore di quei volti lascivi, della Giuditta assassina o di Danae fecondata dalla divina pioggia dorata. Un’interessante fac simile, che non si limita a copiare ma è come se realizzasse il desiderio libidinoso di dare carne a una tela già di per sé carica di erotismo.

La Pittura si fonde con la Fotografia...



domenica 17 febbraio 2008

Ingres

Ingres




Jean Auguste Dominique Ingres, grande pittore dell'Ottocento, è nato a Montauban nel 1780. Primo di cinque figli, compie il suo apprendistato presso la bottega paterna. Nel 1791 entra nell'Accademia di Tolosa come allievo del pittore Roques, appassionato cultore di Raffaello, e in seguito del paesaggista Briant. Trasferitosi molto presto a Parigi, nel 1797, si afferma velocemente come ritrattista dell'altolocata borghesia parigina, arrivando a raffigurare persino l'imperatore Napoleone Bonaparte. Nel 1800, invece, ottiene il secondo posto al concorso per il Prix de Rome con "Scipione e Antioco".

Giunto in Italia nel 1806 per studiare la scultura antica e la pittura del Rinascimento, vi rimane fino al 1824. Alle opere di soggetto classico, come "Giove e Teti" (Aix en Provence, Musée Granet), Ingres alterna dipinti di ambientazione storico-medievale raffiguranti l'amore tra Paolo e Francesca (Angers, Museo) oppure quello fra Raffaello e la fornarina (Baltimora, Art Gallery), dando così inizio alla tendenza artistica della pittura dell'Ottocento detta "trobadour". Terminato il suo pensionato a Villa Medici, prende uno studio in via Gregoriana. Esegue alcuni ritratti di personaggi francesi che vivono a Roma, come Madame Panckoucke, Cordier, Bochet, e il cavaliere de Narvins.

Nel 1813 sposa Madaleine Chapelle e appunto proprio di quello stesso anno è il "Fidanzamento di Raffaello" cui si accennava prima.
La fama raggiunta in patria grazie ai numerosi ritratti ma anche a opere impegnate quali "l'Apoteosi di Omero" del 1826, gli consente di ottenere incarichi prestigiosi: nel 1825 riceve da Carlo X la croce della Legion d'onore, poi viene eletto membro dell'Académie des Beaux-Arts mentre, dal 1835 al 1841, è direttore dell'Accademia di Francia a Roma.

Al ritorno a Parigi l'accoglienza è trionfale e anche il re lo vuole a Versailles. Gli vengono commissionati numerosi ritratti e le vetrate per la cappella in Notre Dame de la Compassion a Parigi. Nel 1846 partecipa per la prima volta a un'esposizione pubblica presso la Galerie des Beaux-Arts; l'anno successivo fa parte con Delacroix della commissione delle Belle Arti da cui si dimette nel 1849, anno in cui muore la moglie e in cui viene colpito da una malattia agli occhi.

Le opere della maturità sono frutto di lunghe elaborazioni tese al raggiungimento della bellezza e della perfezione della forma, al punto che spesso l'esecuzione finale delle parti secondarie era lasciata ai collaboratori. La grande "Odalisca", uno dei suoi oli più famosi, fu dipinta nel 1814 per Caroline Murat, moglie del re di Napoli, ed era destinato a fare da "pendant" ad un'altra opera raffigurante un altro nudo femminile, soggetto che ebbe notevole diffusione in epoca neoclassica. Ingres conferisce tuttavia al dipinto un tono esotico attraverso l'inserimento di oggetti di uso orientale: il narghilè, lo scacciamosche di piume e l'incensiere.

Nel 1851 decide di donare un consistente nucleo di sue opere al Museo di Montauban che verrà inaugurato l'anno successivo. Nel 1852 sposa Delphine Ramel. Nel 1855, quarantatre suoi dipinti vengono scelti per l'Exposition Universelle di Parigi. Tra il 1858 e il 1860 si dedica agli autoritratti e, nel 1862, viene organizzata una mostra di sue opere e viene nominato senatore. Muore il 4 gennaio 1867. Nel febbraio dello stesso anno la sua città natale decide di creare il Musée Ingres, che viene aperto al pubblico nel 1869.

Ingres ha rivoluzionato la storia della pittura con un concetto innovativo, quello "dell'arte per l'arte", ossia riconoscendo all'arte un valore assoluto, mai sottomesso a condizione alcuna.

sabato 16 febbraio 2008

Jan Vermeer


Jan Vermeer (1632-1675), pittore olandese; a lungo poco conosciuto, fu riscoperto e rivalutato a partire dalla fine dell’Ottocento.

Dopo sei anni di apprendistato, condotti forse anche presso Carel Fabritius, nel 1653 entrò nella corporazione dei pittori di San Luca di Delft, divenendo presto importante e stimato membro del Consiglio. Visse modestamente esercitando più il commercio di opere d’arte che la pittura. Solo 35 sono infatti le tele a lui attribuite con certezza; tale numero limitato trova spiegazione sia nelle sue abitudini di lavoro (metodico e meticoloso), sia nella scomparsa di numerose opere durante il periodo di oblio che seguì la sua morte relativamente precoce.

La produzione di Vermeer – caratterizzata da precisione di esecuzione, perfetta resa luministica, forte senso della composizione – consiste, con poche eccezioni (fra cui alcuni paesaggi, strade o ritratti), in dipinti di genere, ispirati alla vita quotidiana: frequenti sono gli interni domestici illuminati dal sole, in cui una o due figure appaiono impegnate a leggere, a scrivere, a suonare uno strumento o a sbrigare le faccende domestiche. Una personale interpretazione della prospettiva, basata sull’attenta distribuzione dei valori tonali dal primo piano allo sfondo

La Traviata

sabato 9 febbraio 2008

Apollo e Dafne


L'Apollo e Dafne è un gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini eseguito tra il 1621 e il 1623 e si trova nella Galleria Borghese di Roma.

Il soggetto del gruppo è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, testo diffusissimo nel XVI secolo, soprattutto tramite stampe e fonte d'ispirazione per artisti e poeti che amavano rappresentare e cimentarsi nei temi delle trasformazioni, la storia era stata il soggetto di un libretto del Rinuccini musicato da Jacopo Peri nel 1598. Era ospitato nella stessa stanza dell'Enea e Anchise seguendo il progetto ambizioso di Scipione Borghese di dare forma moderna ai miti del passato antico, offrendo l'opportunità ad uno scultore dalle doti eccezionali come Bernini di confrontarsi con la letteratura e con la rappresentazione del difficile tema della metamorfosi.

Nel testo di Ovidio Apollo si era vantato di saper usare come nessun altro l'arco e le frecce, per la sua presunzione Cupido lo punisce colpendolo e facendolo innamorare della bella ninfa Dafne, la quale però aveva consacrato la sua vita a Diana e alla caccia. L'amore di Apollo è irrefrenabile, Dafne chiede aiuto al padre Penèo, dio dei fiumi, il quale per impedire ai due di congiungersi la trasforma in un albero, il lauro, che da quel momento diventerà sacro per Apollo, questo è in breve l'episodio che Bernini rappresenta fedelmente proprio nel momento della trasformazione della ninfa in pianta.

La scena è spettacolare e terribile al tempo stesso. Rincorsa da Apollo Dafne si protende in avanti, la sua metamorfosi si compie ed è visibile nelle mani che prendono la forma di rami e di foglie, i capelli e le gambe si trasformano in tronco e i piedi in radici; Apollo la guarda incredulo, ma trattandosi di un Dio Apollineo rimane impassibile, invece lo sguardo della Ninfa è al contempo sbigottito e pieno di terrore.

Il confronto con il testo letterario e con il valore evocativo della parola scritta costringeva Bernini ad inventare una figurazione inedita per creare un effetto di spettacolarità e verosimiglianza, una prova che supera brillantemente. Il Mito ha naturalmente un risvolto moraleggiante, interpretabile anche in chiave cristiana, è per questo motivo che poteva tranquillamente essere esposto nella casa di un cardinale, l'interpretazione allegorica, non è particolarmente difficile, ma per comprenderlo meglio si possono usare le parole del distico di Maffeo Barberini scritto per essere esposto sul basamento:

"Il Piacer doppo il quale corriamo o non si giunge mai, o quando si giunga ci riesce amaro nel gustarlo"

Nell'ottica cristiana il significato è quello della difesa della virtù della donna che sfugge alle insidie del piacere fino alle estreme conseguenze e la delusione amara per l'amante che ha inseguito un piacere effimero.

La drammaticità dell'episodio Mitologico è però ingentilito dalla grazia ellenistica, quello della Galleria Borghese è infatti ispirato all'Apollo del Belvedere dei Musei Vaticani del IV secolo e anche al contemporaneo " Atalanta e Ippomene" di Guido Reni di Capodimonte di Napoli dove i personaggi sono Bloccati nel momento culminante e drammatico ma sempre con una grazia formale e una posa elegante assolutamente calibrata.

L'immagine ha una sua sequenza temporale, si percepisce il movimento, la provenienza dei protagonisti e nel caso di Dafne, il suo aspetto prima e dopo l'attimo raffigurato, ma aveva anche una sequenza che l'artista con una soluzione da regista teatrale aveva previsto per l'osservatore, che entrando nella stanza dal lato sinistro, incontrava con lo sguardo prima Apollo, notandone il movimento, poi ponendosi frontalmente veniva posto davanti allo spettacolo raccapricciante della trasformazione con tutti i suoi particolari. Infine scorrendo verso destra scorgeva le espressioni drammatiche dei due "attori", completando la sua immersione nella storia.

Il principio dell'ut pictura poesis era rispettato pienamente.

L'arte di Bernini sapeva accontentare in pieno i gusti dei committenti che da lui si aspettavano quell'invenzione e quello scatto di genio che potesse dar corpo alle loro attese, in questo caso creare delle forme che, nate da un contesto letterario mantenevano, anzi, amplificavano il valore evocativo della parola.

La spettacolarità dell'immagine tramite i molti particolari verosimili come la carne che si trasforma in legno o le dita che prendono la forma di sottilissime foglie, è uno dei principi di base dell'estetica Barocca.

Il significato morale cristiano venne dato a questo gruppo marmoreo di tema pagano ed erotico, dallo stesso committente, che dettò il seguente distico latino "Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae/ fronde manus implet, baccas seu carpit amaras" (ogni amante che insegua i piaceri della bellezza fuggente/ afferra con le mani la fonda, o meglio gusta bacche amare)

domenica 3 febbraio 2008

Paolina Borghese


Paolina Bonaparte rappresentata come Venere Vincitrice, è una scultura neo-classica di Canova.

Questo blocco scultoreo esprime gli ideali canoviani nel rispetto delle teorie winckelmanniane; l'amore per la natura subisce una sublimazione, un superamento negli ideali così da esser tramutato in bellezza. Il marmo della sorella di Napoleone presenta un rigore chiaramente dettato dalla necessità di oggettivare le forme, di ritrovare la trasparenza in contrasto con gli eccessi e la complessa ridondanza propria del barocco. La rigidità viene però smorzata dalla naturale morbidezza con cui sono rappresentati i drappeggi e il triclinio, abilità che Canova apprende grazie ai numerosi studi in gesso e in terracotta finalizzati ad una elevatissima conoscenza del nudo umano.

L'artista riprende la tradizione dell'antica Roma, ritraendo un individuo mortale nelle vesti di un dio, o come in questo caso, di una dea. Inoltre la postura della figura femminile adagiata e reclinata su un triclinio è quella tipica utilizzata per ritrarre gli ermafroditi.

I nudi artistici non erano comuni, hanno infatti dei drappi che strategicamente coprono diversi punti del corpo. È materia di dibattito se Paolina Borghese abbia posato veramente nuda per la scultura, dato che soltanto il volto è realistico, anche se in parte idealizzato, mentre la parte superiore del corpo ricalca esattamente i canoni di bellezza neoclassici.

Quando le fu chiesto come avesse potuto posare vestendo così pochi indumenti lei rispose che nello studio c'era una stufa che le teneva caldo. Questa affermazione può essere apocrifa o ideata dalla stessa Borghese per destare scandalo.

La scultura presenta una sfaccettatura mitologica: Paolina in mano tiene una mela, evocando la vittoria di Afrodite nel Giudizio di Paride:riprende infatti il momento decisivo in cui fu chiesto a Paride di esprimere un giudizio in riferimento alla bellezza,dovendo scegliere a chi attribuirlo tra tre dee: Era, Atena e Afrodite. Il premio consisteva in un pomo d'oro presentante un incisione sulla superficie: "Alla più bella"; Paride scelse la dea dell'amore. La scelta del Canova di posizionare quel pomo nella mano della donna pone la scultura stessa all'apice dell'espressione della bellezza naturale femminile.

La stanza in cui fu esposta la scultura, alla Galleria Borghese ha un soffitto dipinto che ritrae il giudizio, realizzato da Domenico de Angelis nel 1779 e ispirato alla facciata di Villa Medici.

La base di legno, drappeggiata come un catafalco, originariamente conteneva un meccanismo che consentiva alla scultura di ruotare, come per gli altri lavori di Canova. I ruoli dello spettatore e dell'opera erano quindi rovesciati; era la scultura che ruotava, permettendo allo spettatore di osservarla da ogni angolo stando fermo.

In passato, si poteva ammirare la scultura a luce di candela; la sua superficie lucida non era dovuta soltanto alla finissima qualità del marmo, ma anche alla patinatura effettuata con la cera. Il recente restauro della statua ha conservato anche questa patinatura.

mercoledì 30 gennaio 2008

Gotan Project

Gruau



Come non amare quei tessuti e tagli sartoriali degli anni ´50 e ´60, quando esisteva un concetto di eleganza che prendeva ancora le mosse dal Liberty e dai modi sofisticati di una mondanità che si celebrava tra i grandi alberghi, le redazioni delle riviste di moda e le geniali idee dei grandi coûturiers? Questo mondo sfavillante, non ancora attaccato dalle volgarità della cultura di massa, aveva bisogno di illustratori che lo traducessero in immagini, che associassero la boccetta di un profumo alla schiena nuda di una donna, o tratteggiassero con pochi segni essenziali la silhouette di una ballerina del Lido per reclamizzare - pourquoi pas? - le dolci notti parigine.
Il più grande, forse, di questi illustratori e disegnatori di moda, è Renato Zovagli Ricciardelli delle Caminate, in arte René Gruau, nato a Rimini nel 1909 da Maria Gruau, da cui ha preso il nome, e dal conte Alessandro. Gruau, naturalizzato francese dopo il suo trasferimento a Parigi nel 1930, ha avuto l´onore di inaugurare nel 1999 con una propria mostra il Museo della Pubblicità di Parigi, di vedersi dedicata una sezione permanente nel Museo della Città di Rimini (costituita da opere da lui donate) e di essere celebrato dall´Istituto italiano di cultura di Parigi con un´esposizione (chiusa il 27 febbraio 2003) intitolata "René Gruau. Nato a Rimini, creatore di sogni". Oltre 70 anni di gusto parigino - Gruau ha collaborato con le più grandi case di moda, da Dior a Yves Saint-Laurent, da Chanel a Balenciaga - hanno la loro lontana origine nelle atmosfere felliniane del Grand Hotel di Rimini dove il disegnatore periodicamente soggiornava, dopo l´infanzia trascorsa nella villa di Covignano tra contesse e ricchi borghesi, al tempo dei primi bagni di sole sulla Riviera.
E´ stato detto che Gruau non disegnava prodotti ma atmosfere. Infatti, creava intorno all´oggetto da reclamizzare un´"aura" di favolosa finzione che rendeva attraente il contesto nel quale esso era inserito, si trattasse di un profumo, un´acqua minerale, un aperitivo, un paio di guanti. Il suo segno era essenziale, incisivo ed elegante, capace di illustrare molto meglio di una fotografia (troppo realistica e prosaica) il sognante mondo della moda, con tutte quelle signore snob, avvolte nei loro abiti da sera, di Chanel o Balenciaga, che sembrano confondere la vita con un´opera d´arte.

Un mondo di favolose finzioni


La carriera artistica di René Gruau comincia nel 1924 con la collaborazione a "Lidel", una rivista italiana di moda, di figurini e pubblicità in stile Déco. Qui nasce il suo segno, curvilineo e marcato, dai colori forti e contrastanti (soprattutto il rosso e il nero), che lo impone all´attenzione delle grandi case di moda francesi. Appena sbarcato Oltralpe, collabora con la rivista "Fémina", - poi dal ´37 al ´38 - lavora come stilista in Olanda, Inghilterra e Francia, finché passa a "Marie Claire" durante la guerra, specializzandosi nell´illustrazione di moda. Con la Liberazione, sono "Vogue", "L´Officiel de la Couture", "Harper´s Bazaar", "Flair", di nuovo "Fémina" a richiedere la forza di semplificazione del suo segno grafico. Da qui alle grandi maisons il passo è breve. Disegna per Jacques Fath e per Balmain, ma è soprattutto Dior a cercare la sua collaborazione e ad instaurare con lui un rapporto duraturo che porterà poi a grandi risultati: basti pensare ai disegni per la pubblicità dei profumi "Eau Sauvage" e "Diorella". Ai vertici del successo, Gruau abbandona gradualmente il disegno di moda per dedicarsi alla pubblicità. Lavora per Elizabeth Arden e per i guanti Perrin, per i cappelli Montezin, per le case produttrici di cosmetici (Pajor, Rouge-Baiser), di tessuti (Dormeuil, Rodier, Fred), di biancheria (Scandale, Léjaby, ecc.). Dopo il 1956 i suoi manifesti per il Lido e il Moulin Rouge invadono Parigi. Le incursioni nel mondo dello spettacolo sono sempre più frequenti: realizza i costumi del film "White Christmas" e le scenografie dell´Opéra Comique e del Theâtre du Palais Royal. La sua notorietà fa breccia anche in Italia, dove diverse aziende gli chiedono di pubblicizzare i loro prodotti. Nascono così i celebri manifesti per la Martini, per gli impermeabili, ombrelli e calze Ortalion, per i tessuti Bemberg e, in tempi più recenti, le campagne per le automobili Maserati, le camicie Pancaldi, il settimanale "Sorrisi e Canzoni TV", per Laura Biagiotti, per il profumo Schu-Schu di Schubert e per il 150° anniversario dei Bagni di Rimini. Tra le 50 opere esposte all´Istituto italiano di cultura di Parigi spiccavano i manifesti e cartelli-vetrina serigrafati e prodotti dall´artista per il marchio Bemberg, i dipinti e i disegni degli anni ´40 e ´50 raffiguranti le sue classiche femmes fatales (celebre, tra queste, la donna in abito da sera di Balmain) e alcune pagine tratte da importanti riviste di moda che reclamizzano cosmetici e profumi, guanti e cioccolato.

giovedì 17 gennaio 2008

PABLO NERUDA

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.

Scrivere, ad esempio : La notte è stellata,
e tremolano, azzurri, gli astri in lontananza.

Il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Io l'amai , e a volte anche lei mi amò.

Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito.

Lei mi amò, a volte anch'io l'amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l'ho. Sentire che l'ho perduta.

Udire la notte immensa, più immensa senza lei.
Il verso cade sull'anima come sull'erba in rugiada.

Che importa che il mio amore non potesse
conservarla. La notte è stellata e lei non è con me.

E' tutto. Lontano qualcuno canta. Lontano.
La mia anima non si rassegna a averla perduta.

Come per avvicinarla il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.

La stessa notte che fa agitare gli stessi alberi.
Noi quelli di allora, più non siamo gli stessi.

Più non l'amo, è certo, ma quanto l'amai. La mia
voce cercava il vento per toccare il suo udito.

D'altro. Sarà d'altro. Come prima dei suoi baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro.
I suoi occhi infiniti.

Più non l'amo, è certo, ma forse l'amo .
E' così breve l'amore, ed è sì lungo l'oblio.

Perché in notti come questa la tenni tra le braccia,
la mia anima non si rassegna a averla perduta.

Benché questo sia l'ultimo dolore che lei mi causa
e questi siano gli ultimi versi che le scrivo.

leighton frederic




Frederic Leighton (Scarborough, 3 dicembre 1830 – Londra, 25 gennaio 1896) è stato uno scultore e pittore inglese all'epoca dei preraffaelliti. Le sue opere a soggetto storico, biblico e migologico sono tra gli esempi più raffinati di arte vittoriana.

Studiò all'University College School di Londra, prima di partire per l'Europa continentale in viaggio di studio. Tra i suoi maestri giovanili, Edward von Steinle e Giovanni Costa presso cui, a Firenze, venne introdotto all'Accademia di belle arti. Tra le sue opere del tempo è famosa la processione della Madonna del Cimabue attraverso Borgo Allegri.

Durante la maturità, visse ed operò prima a Parigi (dal 1855 al 1859) e poi a Londra (dal 1860 fino alla morte). Tra i pittori che conobbe in vita e che influenzarono la sua arte, Jean Auguste Dominique Ingres, Eugène Delacroix, Jean-Baptiste Camille Corot e Jean-François Millet. A Londra, dopo essere entrato a far parte dei preraffaelliti, progettò la tomba di Elizabeth Barrett Browning, moglie del poeta Robert Browning, e nel 1864 divenne membro della Royal Academy, per poi diventarne presidente nel 1878.

Venne dichiarato cavaliere a Windsor nel 1878 e poi baronetto nel 1886. Morì nel 1896 senza eredi, un giorno dopo l'ufficializzazione della sua carica: la sua casa a Holland Park è ora il Leighton House Museum e ospita una vasta selezione tra disegni e dipinti.

Tamara de Lempicka


La pittura di Tamara de Lempicka ha un carattere molto particolare.
E’, se vogliamo, un Greuze 1930.
Una pittura molto spinta, in cui il minimo dettaglio è curato, in cui tutto è accarezzato amorevolmente da un pennello meticoloso e allo stesso tempo una concezione piuttosto ardita della deformazione decorativa, il gusto delle linee pure delle forme semplici, un disegno preciso, netto, su una pittura liscia, un modellato estremamente abile.
Pittura che ricorda sempre un po’ quella delle “vite classiche” che si possono vedere al Salon, ma infinitamente più ricca di seduzione e di originalità. La sua arte non è fredda, malgrado la precisione; appare invece di una sensibilità molto viva.
Non è una pittura “realista”, diremmo piuttosto che si tratta di una pittura “surrealista”, se questa parola non fosse già stata impiegata in un senso diverso.
Le figure e i ritratti di Madame de Lempicka sono vivi fino a divenire allucinanti, tanto perfetto è il trompe-l’oeil.
I suoi personaggi escono dai quadri. Le sue figure a grandezza naturale sono più che dei ritratti, sono l’immagine stessa del modello riflessa in uno specchio. Un riflesso, però, sottomesso alla volontà del pittore.

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