giovedì 21 febbraio 2008

La Pittura si fonde con la Fotografia...


Il fotografo Moises González e l’artista digitale Kattaca hanno deciso di riscrivere su pellicola alcune delle opere più famose del pittore austriaco Gustav Klimt, uno dei massimi esponenti dell’ Art Nouveau.

Nei suoi dipinti gli ori avvolgono volti e corpi di donne mitologiche, dee, eroine, conferendo alle immagini un senso di ricchezza che ricorda lo sfarzo dei mosaici bizantini (cui Klimt si ispirava).

Nella resa dei due artisti contemporanei questo aspetto non si perde così come non si perde neanche il tipico languore di quei volti lascivi, della Giuditta assassina o di Danae fecondata dalla divina pioggia dorata. Un’interessante fac simile, che non si limita a copiare ma è come se realizzasse il desiderio libidinoso di dare carne a una tela già di per sé carica di erotismo.

La Pittura si fonde con la Fotografia...



domenica 17 febbraio 2008

Ingres

Ingres




Jean Auguste Dominique Ingres, grande pittore dell'Ottocento, è nato a Montauban nel 1780. Primo di cinque figli, compie il suo apprendistato presso la bottega paterna. Nel 1791 entra nell'Accademia di Tolosa come allievo del pittore Roques, appassionato cultore di Raffaello, e in seguito del paesaggista Briant. Trasferitosi molto presto a Parigi, nel 1797, si afferma velocemente come ritrattista dell'altolocata borghesia parigina, arrivando a raffigurare persino l'imperatore Napoleone Bonaparte. Nel 1800, invece, ottiene il secondo posto al concorso per il Prix de Rome con "Scipione e Antioco".

Giunto in Italia nel 1806 per studiare la scultura antica e la pittura del Rinascimento, vi rimane fino al 1824. Alle opere di soggetto classico, come "Giove e Teti" (Aix en Provence, Musée Granet), Ingres alterna dipinti di ambientazione storico-medievale raffiguranti l'amore tra Paolo e Francesca (Angers, Museo) oppure quello fra Raffaello e la fornarina (Baltimora, Art Gallery), dando così inizio alla tendenza artistica della pittura dell'Ottocento detta "trobadour". Terminato il suo pensionato a Villa Medici, prende uno studio in via Gregoriana. Esegue alcuni ritratti di personaggi francesi che vivono a Roma, come Madame Panckoucke, Cordier, Bochet, e il cavaliere de Narvins.

Nel 1813 sposa Madaleine Chapelle e appunto proprio di quello stesso anno è il "Fidanzamento di Raffaello" cui si accennava prima.
La fama raggiunta in patria grazie ai numerosi ritratti ma anche a opere impegnate quali "l'Apoteosi di Omero" del 1826, gli consente di ottenere incarichi prestigiosi: nel 1825 riceve da Carlo X la croce della Legion d'onore, poi viene eletto membro dell'Académie des Beaux-Arts mentre, dal 1835 al 1841, è direttore dell'Accademia di Francia a Roma.

Al ritorno a Parigi l'accoglienza è trionfale e anche il re lo vuole a Versailles. Gli vengono commissionati numerosi ritratti e le vetrate per la cappella in Notre Dame de la Compassion a Parigi. Nel 1846 partecipa per la prima volta a un'esposizione pubblica presso la Galerie des Beaux-Arts; l'anno successivo fa parte con Delacroix della commissione delle Belle Arti da cui si dimette nel 1849, anno in cui muore la moglie e in cui viene colpito da una malattia agli occhi.

Le opere della maturità sono frutto di lunghe elaborazioni tese al raggiungimento della bellezza e della perfezione della forma, al punto che spesso l'esecuzione finale delle parti secondarie era lasciata ai collaboratori. La grande "Odalisca", uno dei suoi oli più famosi, fu dipinta nel 1814 per Caroline Murat, moglie del re di Napoli, ed era destinato a fare da "pendant" ad un'altra opera raffigurante un altro nudo femminile, soggetto che ebbe notevole diffusione in epoca neoclassica. Ingres conferisce tuttavia al dipinto un tono esotico attraverso l'inserimento di oggetti di uso orientale: il narghilè, lo scacciamosche di piume e l'incensiere.

Nel 1851 decide di donare un consistente nucleo di sue opere al Museo di Montauban che verrà inaugurato l'anno successivo. Nel 1852 sposa Delphine Ramel. Nel 1855, quarantatre suoi dipinti vengono scelti per l'Exposition Universelle di Parigi. Tra il 1858 e il 1860 si dedica agli autoritratti e, nel 1862, viene organizzata una mostra di sue opere e viene nominato senatore. Muore il 4 gennaio 1867. Nel febbraio dello stesso anno la sua città natale decide di creare il Musée Ingres, che viene aperto al pubblico nel 1869.

Ingres ha rivoluzionato la storia della pittura con un concetto innovativo, quello "dell'arte per l'arte", ossia riconoscendo all'arte un valore assoluto, mai sottomesso a condizione alcuna.

sabato 16 febbraio 2008

Jan Vermeer


Jan Vermeer (1632-1675), pittore olandese; a lungo poco conosciuto, fu riscoperto e rivalutato a partire dalla fine dell’Ottocento.

Dopo sei anni di apprendistato, condotti forse anche presso Carel Fabritius, nel 1653 entrò nella corporazione dei pittori di San Luca di Delft, divenendo presto importante e stimato membro del Consiglio. Visse modestamente esercitando più il commercio di opere d’arte che la pittura. Solo 35 sono infatti le tele a lui attribuite con certezza; tale numero limitato trova spiegazione sia nelle sue abitudini di lavoro (metodico e meticoloso), sia nella scomparsa di numerose opere durante il periodo di oblio che seguì la sua morte relativamente precoce.

La produzione di Vermeer – caratterizzata da precisione di esecuzione, perfetta resa luministica, forte senso della composizione – consiste, con poche eccezioni (fra cui alcuni paesaggi, strade o ritratti), in dipinti di genere, ispirati alla vita quotidiana: frequenti sono gli interni domestici illuminati dal sole, in cui una o due figure appaiono impegnate a leggere, a scrivere, a suonare uno strumento o a sbrigare le faccende domestiche. Una personale interpretazione della prospettiva, basata sull’attenta distribuzione dei valori tonali dal primo piano allo sfondo

La Traviata

sabato 9 febbraio 2008

Apollo e Dafne


L'Apollo e Dafne è un gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini eseguito tra il 1621 e il 1623 e si trova nella Galleria Borghese di Roma.

Il soggetto del gruppo è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, testo diffusissimo nel XVI secolo, soprattutto tramite stampe e fonte d'ispirazione per artisti e poeti che amavano rappresentare e cimentarsi nei temi delle trasformazioni, la storia era stata il soggetto di un libretto del Rinuccini musicato da Jacopo Peri nel 1598. Era ospitato nella stessa stanza dell'Enea e Anchise seguendo il progetto ambizioso di Scipione Borghese di dare forma moderna ai miti del passato antico, offrendo l'opportunità ad uno scultore dalle doti eccezionali come Bernini di confrontarsi con la letteratura e con la rappresentazione del difficile tema della metamorfosi.

Nel testo di Ovidio Apollo si era vantato di saper usare come nessun altro l'arco e le frecce, per la sua presunzione Cupido lo punisce colpendolo e facendolo innamorare della bella ninfa Dafne, la quale però aveva consacrato la sua vita a Diana e alla caccia. L'amore di Apollo è irrefrenabile, Dafne chiede aiuto al padre Penèo, dio dei fiumi, il quale per impedire ai due di congiungersi la trasforma in un albero, il lauro, che da quel momento diventerà sacro per Apollo, questo è in breve l'episodio che Bernini rappresenta fedelmente proprio nel momento della trasformazione della ninfa in pianta.

La scena è spettacolare e terribile al tempo stesso. Rincorsa da Apollo Dafne si protende in avanti, la sua metamorfosi si compie ed è visibile nelle mani che prendono la forma di rami e di foglie, i capelli e le gambe si trasformano in tronco e i piedi in radici; Apollo la guarda incredulo, ma trattandosi di un Dio Apollineo rimane impassibile, invece lo sguardo della Ninfa è al contempo sbigottito e pieno di terrore.

Il confronto con il testo letterario e con il valore evocativo della parola scritta costringeva Bernini ad inventare una figurazione inedita per creare un effetto di spettacolarità e verosimiglianza, una prova che supera brillantemente. Il Mito ha naturalmente un risvolto moraleggiante, interpretabile anche in chiave cristiana, è per questo motivo che poteva tranquillamente essere esposto nella casa di un cardinale, l'interpretazione allegorica, non è particolarmente difficile, ma per comprenderlo meglio si possono usare le parole del distico di Maffeo Barberini scritto per essere esposto sul basamento:

"Il Piacer doppo il quale corriamo o non si giunge mai, o quando si giunga ci riesce amaro nel gustarlo"

Nell'ottica cristiana il significato è quello della difesa della virtù della donna che sfugge alle insidie del piacere fino alle estreme conseguenze e la delusione amara per l'amante che ha inseguito un piacere effimero.

La drammaticità dell'episodio Mitologico è però ingentilito dalla grazia ellenistica, quello della Galleria Borghese è infatti ispirato all'Apollo del Belvedere dei Musei Vaticani del IV secolo e anche al contemporaneo " Atalanta e Ippomene" di Guido Reni di Capodimonte di Napoli dove i personaggi sono Bloccati nel momento culminante e drammatico ma sempre con una grazia formale e una posa elegante assolutamente calibrata.

L'immagine ha una sua sequenza temporale, si percepisce il movimento, la provenienza dei protagonisti e nel caso di Dafne, il suo aspetto prima e dopo l'attimo raffigurato, ma aveva anche una sequenza che l'artista con una soluzione da regista teatrale aveva previsto per l'osservatore, che entrando nella stanza dal lato sinistro, incontrava con lo sguardo prima Apollo, notandone il movimento, poi ponendosi frontalmente veniva posto davanti allo spettacolo raccapricciante della trasformazione con tutti i suoi particolari. Infine scorrendo verso destra scorgeva le espressioni drammatiche dei due "attori", completando la sua immersione nella storia.

Il principio dell'ut pictura poesis era rispettato pienamente.

L'arte di Bernini sapeva accontentare in pieno i gusti dei committenti che da lui si aspettavano quell'invenzione e quello scatto di genio che potesse dar corpo alle loro attese, in questo caso creare delle forme che, nate da un contesto letterario mantenevano, anzi, amplificavano il valore evocativo della parola.

La spettacolarità dell'immagine tramite i molti particolari verosimili come la carne che si trasforma in legno o le dita che prendono la forma di sottilissime foglie, è uno dei principi di base dell'estetica Barocca.

Il significato morale cristiano venne dato a questo gruppo marmoreo di tema pagano ed erotico, dallo stesso committente, che dettò il seguente distico latino "Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae/ fronde manus implet, baccas seu carpit amaras" (ogni amante che insegua i piaceri della bellezza fuggente/ afferra con le mani la fonda, o meglio gusta bacche amare)

domenica 3 febbraio 2008

Paolina Borghese


Paolina Bonaparte rappresentata come Venere Vincitrice, è una scultura neo-classica di Canova.

Questo blocco scultoreo esprime gli ideali canoviani nel rispetto delle teorie winckelmanniane; l'amore per la natura subisce una sublimazione, un superamento negli ideali così da esser tramutato in bellezza. Il marmo della sorella di Napoleone presenta un rigore chiaramente dettato dalla necessità di oggettivare le forme, di ritrovare la trasparenza in contrasto con gli eccessi e la complessa ridondanza propria del barocco. La rigidità viene però smorzata dalla naturale morbidezza con cui sono rappresentati i drappeggi e il triclinio, abilità che Canova apprende grazie ai numerosi studi in gesso e in terracotta finalizzati ad una elevatissima conoscenza del nudo umano.

L'artista riprende la tradizione dell'antica Roma, ritraendo un individuo mortale nelle vesti di un dio, o come in questo caso, di una dea. Inoltre la postura della figura femminile adagiata e reclinata su un triclinio è quella tipica utilizzata per ritrarre gli ermafroditi.

I nudi artistici non erano comuni, hanno infatti dei drappi che strategicamente coprono diversi punti del corpo. È materia di dibattito se Paolina Borghese abbia posato veramente nuda per la scultura, dato che soltanto il volto è realistico, anche se in parte idealizzato, mentre la parte superiore del corpo ricalca esattamente i canoni di bellezza neoclassici.

Quando le fu chiesto come avesse potuto posare vestendo così pochi indumenti lei rispose che nello studio c'era una stufa che le teneva caldo. Questa affermazione può essere apocrifa o ideata dalla stessa Borghese per destare scandalo.

La scultura presenta una sfaccettatura mitologica: Paolina in mano tiene una mela, evocando la vittoria di Afrodite nel Giudizio di Paride:riprende infatti il momento decisivo in cui fu chiesto a Paride di esprimere un giudizio in riferimento alla bellezza,dovendo scegliere a chi attribuirlo tra tre dee: Era, Atena e Afrodite. Il premio consisteva in un pomo d'oro presentante un incisione sulla superficie: "Alla più bella"; Paride scelse la dea dell'amore. La scelta del Canova di posizionare quel pomo nella mano della donna pone la scultura stessa all'apice dell'espressione della bellezza naturale femminile.

La stanza in cui fu esposta la scultura, alla Galleria Borghese ha un soffitto dipinto che ritrae il giudizio, realizzato da Domenico de Angelis nel 1779 e ispirato alla facciata di Villa Medici.

La base di legno, drappeggiata come un catafalco, originariamente conteneva un meccanismo che consentiva alla scultura di ruotare, come per gli altri lavori di Canova. I ruoli dello spettatore e dell'opera erano quindi rovesciati; era la scultura che ruotava, permettendo allo spettatore di osservarla da ogni angolo stando fermo.

In passato, si poteva ammirare la scultura a luce di candela; la sua superficie lucida non era dovuta soltanto alla finissima qualità del marmo, ma anche alla patinatura effettuata con la cera. Il recente restauro della statua ha conservato anche questa patinatura.